Una teoria psico-eco-relazionale
di Andrea Bramucci, Rosella De Leonibus, Deborah Tamanti, Giampiero Crispolti,
Barbara Montanini, Fabiana Nicoletti (1)
Il XX secolo sanziona il definitivo e irreversibile ingresso della dimensione ambientale in tutti i
processi umani, sia per ciò che immediatamente riguarda lo stato di salute dell’oikos, cioè della
nostra casa Terra, sia come processo, metaforico e reale, che riguarda le relazioni umane nei più
svariati contesti.
La dimensione ecologica è ormai presente, spesso a livello ideologico, in qualsiasi scelta:
economica, politica, comunicativa, ecc.
L’ambiente è sempre più in figura: il focus del mio agire nel mondo si sposta definitivamente:
dall’individuo all’individuo/ambiente.
Il discorso ecologico mi dice che io faccio parte di un ambiente con tutto ciò che ne consegue e,
sicuramente, su questa affermazione siamo ormai tutti d’accordo.
Le ricadute di tale corollario nelle scienze umane e in particolar modo nell’ambito psico-sociale
hanno permesso una diversa lettura della situazione relazionale o del quadro clinico di un soggetto,
con una ridefinizione successiva dell’approccio teorico centrato non più e non solo sull’individuo,
ma sulle dinamiche relazionali e di sistema di un certo contesto ambientale.
Le più interessanti teorie psicologiche e psicoterapiche della seconda metà del secolo scorso ci
hanno condotto su percorsi teorici e metodologici che rendono operativa la dinamica
individuo/ambiente.
Come terapeuti della Gestalt facciamo riferimento soprattutto ad alcuni autori, senza esaurire con
ciò il panorama teorico e gli stimoli intellettuali che provengono da altri approcci, soprattutto dal
filone sistemico-relazionale.
La Gestalt-ecology
A partire dai lavori di Kurt Lewin, la psicologia della Gestalt e poi la psicoterapia della Gestalt, ha
sottolineato l’importanza della relazione dell’individuo con il suo spazio vitale, e ha sempre creduto
che la crescita, il cambiamento, si giochino al confine di contatto tra l’individuo e l’ambiente – i tanti
ambienti che costituiscono il suo spazio vitale – e che la storia di ognuno di noi si snoda lungo
questa interazione continua, più o meno consapevole.
La teoria del campo di Lewin situa fin da subito l’individuo in un ambiente (o contesto per i
sistemici) da cui non può e non si può prescindere. Il soggetto è spesso la figura che si staglia su
uno sfondo, altre volte lo stesso soggetto è sfondo per altri individui o per un aspetto della storia
individuale.
Gli sviluppi in campo psicoterapico delle intuizioni sperimentali di Lewin si concretizzano nella
metodologia e soprattutto nelle esperienze dei primi terapeuti della Gestalt-therapy: molto celebrate
sono quelle del fondatore Fritz Perls.
In particolare nel ciclo di contatto o dell’esperienza, soprattutto nella versione di J. Zinker, si rende
evidente la relazione tra il bisogno individuale e lo sfondo ambientale. Tale griglia diventa un
possibile schema di interazione tra il soggetto e il suo ambiente.
Nel percorso della soddisfazione del bisogno lungo il ciclo di contatto, la Gestalt-therapy va a
focalizzare come il soggetto interagisce con il mondo-ambiente e quando si interrompe, cioè
quando, per es. bloccato dalle proprie introiezioni, rimette in atto resistenze, o meccanismi di difesa
per usare il linguaggio psicoanalitico, che non gli permettono di rendere fluido e vitale il suo
contatto con l’Altro.
*Presentato dall’Istituto di Sociologia.
Gli sviluppi successivi della Terapia della Gestalt sono molto legati alla coppia Miriam ed Erving
Polster. Il merito maggiore, oltre ad avere reso meno meccanicistico e più termodinamico il modello
del ciclo di contatto, è collegabile alla teoria della multipolarità del self.
Nella concezione matura dei Polster il self – l’utilizzo della lingua inglese non è tanto un vezzo
esterofilo ma l’appartenenza ad una visione del sé processuale che si contrappone alle teorie del
selbst strutturale – è multipolare, cioè intorno ad un self regista che organizza, si muovono tanti
altri selves che sono contemporaneamente presenti nel soggetto e che si attivano in diversi contesti
proprio attraverso la dinamica individuo/ambiente.
I diversi selves sono le risposte che l’individuo si è dato ed ha messo in atto nel suo adattamento
creativo alla realtà nel suo percorso evolutivo di crescita.
Cambiando orizzonte, passando cioè dal micro delle relazioni psico-sociali al macro delle
interrelazioni tra ecosistemi, la scienza ecologica negli stessi anni iniziava a dare risposte sempre
più precise alle disfunzioni, ormai non più giustificabili statisticamente, degli alterati equilibri dei
sistemi naturali e dei macrocicli atmosferici.
L’ecologia ci mostra l’ineluttabilità del legame tra società umana ed ecosistemi naturali: non si può
uscire da tale vincolo, si possono però sfruttarne le possibilità.
Avanza a livello storico e teorico un nuovo modello di uomo – sicuramente a tutt’oggi ancora molto
distante dall’effettività dei comportamenti umani – che da un lato si rende respons-abile, cioè
capace di rispondere ai propri bisogni senza distruggere gli ecosistemi, dall’altro si sente limitato,
cioè con la consapevolezza che il suo agire nel mondo può essere fino ad un certo punto e che non
può decidere per altre specie.
Edgar Morin ha ben composto questi due aspetti che si esplicitano nel condurre la natura/seguire la
natura, con un anello ricorsivo che in continuazione rimanda dal seguire al guidare.
Morin è sicuramente l’autore che a livello metodologico ha utilizzato il pensiero ecologico come
metalinguaggio: l’ecologia come modello complesso per le scienze della materia ma anche dello
spirito. Ma lo sguardo ecologico porta inevitabilmente ad una nuova etica, ci introduce a possibili
nuovi rapporti tra gli uomini e con la natura: un’etica planetaria che può partire da una grande
rigenerazione.
Nell’attuale panorama culturale e sociale diventa sempre più necessario dotarsi di approcci teorici e
metodologici che possano uscire dalla logica dell’iperspecializzazione e del pensiero unico.
I due percorsi qui accennati, il gestaltico e l’ecologico, si incontrano in una nuova sintesi teorica e
metodologica a cui diamo il nome di Gestalt-ecology.
La Gestalt-ecology è il tentativo di introdurre nell’approccio psicoterapico e più in generale nelle
scienze psico-sociali i diversi livelli di relazione, dal macro al micro, che ciascuno di noi in modo
consapevole o meno comunque intrattiene.
I principi base della Gestalt-Ecology sono: il principio di globalità, il principio di limitazione, il
principio di diversità, il principio estetico, il principio etico.
La globalità è il contrario della globalizzazione: se globalizzare vuol dire uniformare – vedi tutto il
lavoro di Naomi Klein sul logo – tenere conto della globalità vuol dire valutare gli effetti di una
azione sul mondo e, in termini relazionali, sugli altri.
Globalità richiama la complessità ambientale e le reti di connessione a cui tutti siamo
inesorabilmente legati.
Il principio di limitazione è sicuramente oggi il meno praticato, ma anche il più rivoluzionario.
Uscire dalla logica del progresso illuministico sembra oggi una utopia, anche perché in quale altro
modo si può procedere nelle economie e nelle politiche… (forse la decrescita?) sicuramente è un
sistema da inventare e per questo appunto rivoluzionario.
Nel versante psico-relazionale che cosa significa il principio di limitazione? Per esempio
riconoscere i propri e altrui confini e limiti e accettarli come tali; uscire dalla grandiosità e dall’Io
ipertrofico che, complice anche una certa psicologia, ha caratterizzato il XX secolo.
Significa soprattutto stare con la perdita in quanto esperienza che ci aiuta a dare un limite di spaziotempo
alle nostre azioni, esperienze e scelte. La perdita oggi è vissuta solo come ciò che si lascia,
ma è solo attraverso la perdita di qualcosa che ciascuno di noi può diventare, può trasformarsi:
assumere il limite come possibilità di cambiamento.
La bio-diversità in affanno ci indica che stiamo depauperando il mondo, come la sparizione in
silenzio di lingue e popoli.
Diversità nelle relazioni diventa esprimere, dire, a volte urlare le proprie idee, il proprio sentire
uscendo dal coro. Oggi, nell’era della comunicazione totale, la diversità va scomparendo, occorre
ribadire ciò: si è sempre più uguali, o si vorrebbe così.
Il principio di diversità, nel suo messaggio intuitivo, ribadisce l’unicità dell’esperienza umana;
indica che la clonazione – di piante e animali, forse domani di uomini! – è solo l’ultimo passaggio di
quella ricerca di perfezione narcisistica di cui è affetta la nostra società occidentale.
Nel principio estetico ci guida la bellezza intesa come bisogno umano di vivere in un ambiente di
cui è possibile cogliere il senso e le proporzioni.
Il principio estetico ci induce a recuperare la capacità di percepire il bello, cioè di stare con ciò che
ci piace, ciò che dà piacere guardare, toccare, sentire, come premessa per un benessere non assoluto
o per sempre ma costituito di più momenti belli, di belle giornate e contatti vivificanti che si
susseguono.
Il principio etico ha a che fare con la responsabilità. La responsabilità ha a che fare con il rispondere
a…. rispondere di…; l’etica ha a che fare con la relazionalità che coinvolge gli individui
globalmente nella loro diversità, nel loro rapporto reciproco, nella loro dimensione psicologica,
sociale, culturale, estetica.
L’ambiente fa parte di me: dalla Gestalt-ecology ai campi del sé.
La Gestalt-ecology parte dall’affermazione io faccio parte dell’ambiente: la amplifica, la riempie di
significato, e poi diventa anche una proposta nelle relazioni umane e un percorso operativo nel
rapporto terapeutico.
La domanda allora diventa: in quale eco-sistema vive quel particolare soggetto? E anche: quale
nicchia ecologica occupa?
La metafora ecologica ci permette di ri-definire il campo delle relazioni di un soggetto, oppure di un
gruppo o di una organizzazione.
Una lettura ecologica ci aiuta a cogliere la complessità della relazione persona-ambiente,
complessità che altrimenti rischierebbe di non essere riconosciuta.
Partire da un presupposto ecologico significa riconoscere che persona ed ambiente sono legati da
un rapporto reciproco; significa che la crescita, lo sviluppo, il benessere, il malessere, in breve la
vita, non può che generarsi da questo legame, dal riconoscimento reciproco della coesistenza di me
e dell’altro.
Significa che persona e ambiente sono l’uno parte dell’altra.
E’ questo legame reciproco tra persona e ambiente a fare della relazione un eco-sistema.
L’eco-sistema relazione vede dunque la contemporanea coesistenza e centralità della persona e dell’
ambiente, in cui l’uno genera l’altro.
Ad esempio a un livello macro possiamo pensare a come nel tempo siano subentrati mutamenti
storici, sociali, culturali, che sono stati di volta in volta espressione di particolari interazioni
persona-ambiente, e che hanno caratterizzato, definito sia le esperienze personali che gli ambienti
di vita.
A livello micro possiamo dire che esistono moltitudini di processi del mondo fisico o sociale che in
alcuni momenti non sono in relazione con l’esperienza e il vissuto di una persona, ma che in altri
momenti potrebbero invece esserlo.
L’irrompere di alcuni processi storici, o la trasformazione di processi culturali e sociali possono
metterci in contatto con aspetti del mondo fisico e sociale che prima non erano percepiti: ad
esempio, ad un certo punto decidiamo di occuparci della foresta amazzonica.
L’ecosistema relazione è allora un ecosistema dinamico, sottoposto a mutamenti, involuzioni ed
evoluzioni.
Secondo questa prospettiva la relazione diventa principio organizzativo e dinamico dell’esistenza e
dell’esperienza.
A questo punto e in modo consequenziale a quanto detto finora, all’affermazione io faccio parte
dell’ambiente occorre aggiungere l’affermazione speculare e che completa l’ecosistema relazionale:
l’ambiente fa parte di me.
L’ambiente non è solo fuori di me, non è solo un confine di contatto, per utilizzare un concetto
gestaltico, relazionale sì, ma comunque esterno.
L’ambiente permea e costituisce il soggetto in termini di campi, di luoghi interni in cui la persona
va a collocarsi in un certo momento e in una particolare esperienza o vissuto.
L’affermazione l’ambiente fa parte di me permette di chiudere il cerchio tra individuo e ambiente,
poiché l’uno rimanda in continuazione all’altro; la relazione tra i due è sia di tipo ad anello
ricorsivo, come ci dice Morin, ma anche di tipo ad onda, per cui la sollecitazione in un punto
esterno al soggetto fa risuonare e oscillare i corrispondenti punti interni.
Il battito d’ali di farfalla, per utilizzare una conosciuta metafora, non solo diventa un tornado a tanti
chilometri di distanza, ma fa risuonare tante altre ali in altri soggetti che sono consapevolmente o
meno collegati a ciò.
Nell’individuo allora possiamo andare a ritrovare gli stessi “dove”, cioè i luoghi che sono presenti
nell’ambiente. Si può stabilire così un parallelismo tra l’interno e l’esterno tra il micro e il macro.
Se “io sono una parte di tutto ciò che ho incontrato”, come ci suggerisce Alfred Tennyson, le
relazioni vissute e sperimentate hanno lasciato un deposito affettivo-emotivo-cognitivo, che posso
riconoscere e a volte utilizzare; questa parte mi può riconnettere direttamente con quella
dimensione, o per meglio dire campo, presente nell’ambiente inteso come altro da me o inteso in
termini più ampi come contesto sociale.
Se possiamo considerare un ecosistema relazionale come un’unità, con le sue regole e modalità di
funzionamento, per ricorsività e per risonanza possiamo considerare un individuo come una
pluralità: sicuramente come un deposito di pluriappartenenze, presenti e passate, che mi connettono
all’ambiente.
Il capovolgimento effettuato dalla teoria qui presentata è quello di andare a ritrovare nel soggetto i
segni ed i campi presenti nell’ambiente più allargato.
In questo processo si inverte la modalità tipica, e colonizzatrice, che finora ha caratterizzato la
conoscenza umana ed anche la scienza psicologica, cioè dall’individuo verso l’ambiente.
Il punto di partenza, ora, è proprio l’ambiente e si va verso l’individuo correlando luoghi e campi
della macro-esperienza, società e cultura, con la micro-esperienza, i vissuti individuali.
Ma con un ulteriore passaggio, si può definitivamente uscire dalla logica interno/esterno.
La continuità tra il micro e il macro, a volte è molto evidente in quei territori meso (2), cioè
intermedi, che sono nello stesso tempo me e non-me.
I campi del sé sono il tentativo teorico e metodologico di costruire questo parallelismo e di leggere
in termini più accurati la realtà attuale per poter poi intervenire nell’ambito delle relazioni umane
con strumenti più adeguati.
qualità | matrice | campi | sviluppo | parole chiave | macroaree | obiettivo | attivazione |
dono | valori ethos | trascendente | spiritualità | limite principio olistico | allargamento del sé/ritiro | sono una parte del tutto | attivo il silenzio interiore |
trasformazione idee guida | visione del mondo | storico | ethos valori | cambiamento | narrazione costruzione di senso | sono in divenire | attivo il fare storia e memoria |
contaminazione | qualità della vita appartenenza | socioculturale | visione del mondo idee guida | complessità | differenziazione dialogo | sono nel mondo | attivo la funzione di filtro |
scambio | connessione rapporto | comunitario | appartenenza qualità della vita | equilibrio dinamico rispetto | confine esperienza | sono nella reciprocità | attivo il riconoscimento del gruppo |
noi | incontro persona | relazionale | rapporto connessione | responsabilità legame | contatto comunicazione | sono con | attivo il riconoscimento dell’Altro |
identità | Io corpo | intrapsichico | persona incontro | unicità irriducibilità | consapevolezza elaborazione | sono separato | attivo il confine dell’Io |
eco-auto organizzazione | natura | biologico | Corpo io | Bio diversità compatibilità ambientale | accettazione integrazione corporea | sono vivo | attivo le funzioni vitali |
I campi del sé sono sette: il campo biologico, il campo intrapsichico, il campo relazionale, il campo
comunitario, il campo socio-culturale, il campo storico, il campo trascendente.
Ogni campo è collegato ad un colore . I sette campi del sé ripercorrono i sette colori dell’arcobaleno
partendo dal rosso fino all’indaco, passando dal campo più materico (biologico) a quello più eterico
(trascendente) ed evidenziando le caratteristiche di ciascun campo.
Biologico: aspetto organico e/o di struttura inteso in senso dinamico – colore rosso.
Aspetto anatomico e fisiologico dell’individuo; i membri di un gruppo; l’organigramma di una
organizzazione.
Intrapsichico: aspetto mentale interno in stretto collegamento con il biologico – colore arancione
La mente – nel senso di mind; il sè gruppale; la mission di un’organizzazione.
Relazionale: aspetto di relazioni con l’altro prossimale – colore giallo.
Io-tu-noi dell’individuo; il campo di relazione con altri gruppi prossimi della stessa tipologia; la
relazione con altre organizzazioni simili.
Comunitario: aspetto che costruisce reti di appartenenza alla comunità di riferimento – colore verde.
La rete di appartenenza interna dell’individuo alla sua comunità di riferimento; la rete di
appartenenza di un gruppo – o di una organizzazione – alla comunità dei gruppi – o delle
organizzazioni – con cui condivide lo stesso contesto
Socio-culturale: aspetto inerente la relazione con la cultura e le idee nell’ambiente in cui è immerso
il soggetto – colore blu.
Condivisione, adesione o rapporto creativo e dialettico di un soggetto con le idee guida del suo
ambiente socio-culturale di riferimento; condivisione, adesione o rapporto creativo e dialettico di un
gruppo con le idee dell’ambiente di riferimento – cioè di tutti gli altri gruppi simili ; condivisione,
adesione o rapporto creativo e dialettico di un’organizzazione con le idee dell’ambiente di
riferimento – cioè di tutte le altre organizzazioni simili – ; vision dell’organizzazione.
Storico: aspetto che comprende la dimensione storica: storia vissuta e storia riconosciuta
dall’individuo, gruppo od organizzazione , in cui è immerso il soggetto preso in esame – colore
indaco.
Per l’individuo è la narrazione degli eventi personali all’interno del processo storico della società: il
senso della storicità delle proprie esperienze e dei valori che da esso ne scaturiscono. Per un gruppo
o un’organizzazione è inerente alla relazione dialettica con la storia condivisa con altri gruppi o
altre organizzazioni con il processo storico che ha definito un ambito riconosciuto e narrato.
Trascendente: aspetto spirituale che collega l’essere con una dimensione metafisica – colore viola.
Nell’individuo è la dimensione della spiritualità, del collegamento con l’essere ultimo, del
trascendere sé stesso per andare oltre a ciò che è fisico e immediato: dimensione del limite e della
perdita.
Per il gruppo o l’organizzazione diventa la dimensione dell’andare oltre sé stessi ed oltre il compito
riconosciuto anche dal contesto per trascenderlo e fondare o indicare una possibile altra via, magari
nel futuro.
I primi quattro campi del sé hanno a che fare con la dimensione dello spazio (fisico, psichico,
relazionale, comunitario), in termini sia materiali che simbolici, il quinto campo (socio-culturale)
ancora con la dimensione dello spazio in termini simbolici, ma anche con una prima connessione
alla dimensione del tempo (in termini di stratificazione temporale), mentre il sesto (storico) è
connotato dalla dimensione tempo. Il settimo (trascendente), si colloca infine oltre le dimensioni
ordinarie dello spazio-tempo.
La dinamica dei campi del sé
Le sette dimensioni qui individuate hanno sia una propria struttura autonoma ed una relazione
interna con un linguaggio e regole specifiche, definendo sistemi eco-logici auto-eco-organizzati:
per es. il campo intrapsichico è il luogo privilegiato per collocare le tematiche e problematiche
psicologiche – che una dimensione di interrelazione con gli altri campi che si esplicita sia
direttamente al confine di contatto tra un campo e l’altro, sia più in generale tra tutti i campi tra
loro e nella sequenza degli stessi.
Ogni campo successivo contiene o per meglio dire presuppone quello precedente – per es. il campo
comunitario presuppone il biologico, l’intrapsichico e il relazionale – infatti non si possono isolare
le reti socio-culturali senza tenere conto della comunità o delle relazioni, che a sua volta sono
direttamente connesse ad altri aspetti.
Ma ciascun campo non è una monade isolata e viene, quindi, anche influenzato da tutti gli altri
campi nel corso dell’evolversi dell’individuo, gruppo od organizzazione.
La teoria dei campi del sé definisce sia una mappa della personalità del soggetto singolo o plurimo
attraverso sette diverse dimensioni che sono stratificate e sovrapposte e, nello stesso tempo, sempre
in collegamento tra loro, sia una mappa dei diversi territori in cui il sé si esprime ed imprime il suo
essere-nel-mondo e da questi stessi viene ad essere eco-organizzato.
In altri termini questa mappa può essere utilizzata sia per descrivere ed analizzare in che modo le
diverse articolazioni del sé coabitano dentro ciascun individuo (persona singola, gruppo,
organizzazione), sia per descrivere in che modo il singolo individuo (persona singola, gruppo,
organizzazione), è in relazione con l’eco-sistema di cui è parte.
L’interesse di questa mappa consiste specificamente nel mostrare la interconnesione e molteplicità
delle superfici di contatto tra il singolo e la complessità ambientale, tra il micro e il macro, e
mostrare le diverse articolazioni di queste zone di contatto
Le qualità dei campi del sé
Le qualità dei campi del sé rappresentano l’archetipo del campo stesso, l’essenza, il tema centrale
che si presenta sotto svariate forme.
Biologico: auto-eco-organizzazione; Intrapsichico: identità; Relazionale: noi; Comunitario:
scambio; Socio-culurale: contaminazione; Storico: trasformazione; Trascendente: dono.
Le matrici dei campi del sé
La matrice del campo è ciò da cui si origina il campo stesso. E’ il terreno fertile, l’humus da cui
prende forma quel campo.
Esclusa la 1° matrice del campo biologico che è definita da un solo termine, le altre matrici hanno
due definizioni per ogni campo del sé che le collegano allo sviluppo – vedi sotto – del campo
precedente. In un gioco di figura/sfondo i termini si invertono e ciò che era sullo sfondo per lo
sviluppo del campo precedente diventa figura per la matrice del campo successivo.
Biologico: natura; Intrapsichico: Io – Corpo; Relazionale: incontro/persona; Comunitario:
connessione/rapporto; Socio-culturale: qualità della vita/appartenenza; Storico: idee guida/visione
del mondo; Trascendente: valori/ethos.
Gli sviluppi dei campi del sé
Lo sviluppo del campo del sé è la direzione del campo stesso, la sua dinamicità, la direzione della
sua energia. Lo sviluppo è, quindi, l’evoluzione di quel campo del sé, il compimento della buona
forma.
Biologico: Corpo – Io; Intrapsichico: persona/incontro; Relazionale: rapporto/connessione;
Comunitario: appartenenza/qualità della vita; Socio-culturale: visione del mondo/idee guida;
Storico: ethos/valori; Trascendente: spiritualità.
Le parole chiave dei campi del sé
Le parole chiave permettono l’accesso immediato e diretto ai diversi campi del sé. Le parole chiave
definiscono un codice per ciascun campo del sè, indicandoci in quale area ci troviamo.
Biologico: biodiversità – compatibilità ambientale; Intrapsichico: unicità – irriducibilità;
Relazionale: responsabilità – legame; Comunitario: equilibrio dinamico – rispetto; Socio-culturale:
complessità; Storico: cambiamento; Trascendente: limite – principio olistico.
Le macroaree operative dei campi del sé
Le macroaree operative definiscono modalità applicative e di lavoro con i diversi campi del sé, che
poi possono essere declinate in specifiche tecniche psicologiche e psicoterapiche.
Biologico: accettazione – integrazione corporea; Intrapsichico: consapevolezza – elaborazione;
Relazionale: contatto – comunicazione; Comunitario: confine – esperienza; Socio-culturale:
differenziazione – dialogo; Storico: narrazione – costruzione di senso; Trascendente: allargamento
del sé/ritiro.
Obiettivi
Gli obiettivi dei campi del sé tracciano la direzione, la linea guida di ciascun campo. L’obiettivo
diventa anche, soprattutto nei processi individuali ma anche per gruppi e organizzazioni, il termine
di confronto in quella specifica area del sé.
Biologico: sono vivo; Intrapsichico: sono separato; Relazionale: sono con; Comunitario: sono nella
reciprocità; Socio-culturale: sono nel mondo; Storico: sono in divenire; Trascendente: sono una
parte del tutto.
Attivazioni
Per raggiungere gli specifici obiettivi di ogni campo del sé occorre mobilitare le funzioni descritte
nelle attivazioni.
Biologico: attivo le funzioni vitali; Intrapsichico: attivo il confine dell’Io; Relazionale: attivo il
riconoscimento dell’Altro; Comunitario: attivo il riconoscimento del gruppo; Socio-culturale: attivo
la funzione di filtro; Storico: attivo il fare storia e memoria; Trascendente: attivo il silenzio
interiore.
Il “dove”: un approfondimento necessario
I campi del sé definiscono i luoghi di pertinenza, appartenenza, sviluppo e relazione del soggetto
singolo o plurimo – gruppo e organizzazione.
A fronte delle precedenti impostazioni psicologiche , la metodologia dei campi del sé focalizza il
suo apporto soprattutto sulla dimensione dello spazio -interno ed esterno al soggetto – inteso come
aggregato di elementi e relazioni che qualificano la specifica dimensione in cui si incontra e
manifesta la propria presenza il soggetto stesso.
Infatti se la psicanalisi risponde alla domanda perché – interpretazione – ma anche alla domanda
quando – aspetto evolutivo della personalità, gli approcci umanistico-gestaltici e sistemici pongono
la domanda come – modalità fenomenologica dell’esserci/significato personale, l’approccio
cognitivo-comportamentale risponde alla domanda che cosa – focalizzazione sul tema attuale del
soggetto, la teoria della Gestalt-ecology e la metodologia dei campi del sé , senza sconfermare
nessuno degli approcci precedenti, introducono la ulteriore domanda: dove – aspetto di
contestualizzazione interna ed esterna del soggetto singolo o plurimo.
Nella storia umana il dove appare già nei primi testi sacri e mitologici: “…ma il Signore Dio
chiamò l’uomo e gli disse : Dove sei?…”(3)
Il dove sei? risuona per tutta la storia dell’occidente come richiamo, invito e monito rispetto
all’esserci e al nascondersi: l’uomo come essere che si colloca di fronte a Dio, all’umanità e a sé
stesso.
La tradizione giudaico-cristiana e poi quella occidentale in genere pone il dove sei – storico,
sociologico, relazionale e intrapsichico – come caratteristica ineluttabile della dimensione umana:
siamo sempre in un luogo, in un contesto che definiamo e che ci definisce. L’esserci è fin da subito
un con-esserci: poiché il dove è sempre, fin da Adamo, uno “stare con”.
Oggi il dove sei risuona di significati meno escatologici e definitivi, ma più effimeri e commerciali.
Il dove sei ripetuto al telefono portatile ha sostituito il “come stai” più o meno interessato
dell’incontro vis a vis.
Ma nella supposta banalità di questa domanda telefonica, è presente comunque il bisogno di dare
un significato alla nostra e altrui presenza quotidiana, presenza che si definisce nell’attraversare
tanti diversi luoghi e spazi interni ed esterni.
Proprio questa idea di movimento introduce la seconda caratteristica del dove, cioè il verso dove; il
movimento che porta il soggetto da una situazione ad un’altra, la dimensione del viaggio, del
peregrinare esistenziale e personale che volenti o nolenti effettuiamo.
Dove vai? diventa allora la domanda che a livelli diversi – psicologico, relazionale, professionale –
ci permette di cogliere la nostra e altrui direzionalità, con altro linguaggio potremmo dire la nostra
individuazione.
E qui ci soccorrono due personaggi mitologici: Edipo e Ulisse. Entrambi compiono il proprio
destino, ma in modo opposto. Infatti Edipo , rivolgendosi a sé stesso: “…dove m’aggiro, in quale
parte della terra, quale?” (4), si accorge che il luogo in cui ha cercato e trovato gloria, non è
nient’altro che il luogo delle origini che però gli si ritorce contro con segno avverso. Edipo non
riconosce la propria storia e la propria direzione: il suo è un percorso all’indietro ma senza
consapevolezza e ciò per lui sarà fatale: il suo dove non è evolutivo, ma regressivo e colpevole.
Ulisse ritorna dopo 20 anni alla casa – oikos, al luogo a cui sente di appartenere. Il suo viaggio però
non è inutile. Attraverso un lungo tragitto in cui si sofferma in tanti luoghi diversi , in tanti dove
affascinanti e/o pericolosi .
Il nostos è l’incontro con sé stesso e con gli altri ad un pieno livello di consapevolezza da quello di
quando era partito da Itaca: l’accettazione si sé stessi e degli altri avviene attraverso percorsi lunghi
e tortuosi e a volte dolorosi: così si compie il suo percorso di individuazione..
Passando dalla mitologia ai segnali attuali che possiamo cogliere sia nelle relazioni sociali che nella
dinamica uomo-ambiente , diventa imprescindibile dover e poter aggiornare lo sguardo
psicologico e psicorelazionale ripartendo proprio da una teoria che focalizza il rapporto tra il
soggetto – singolo o plurimo – e i suoi dove interni ed esterni, che spesso funzionano a specchio tra
di loro e si ripresentano in modi paralleli.
Il continuo dislocamento dell’uomo moderno, che si evidenzia in conosciuti fenomeni sociopolitico-
culturali – globalizzazione, flussi migratori, dimensione umana parcellizzata nella
esperienza quotidiana, occupazione fisica di tutti gli spazi naturali – fa sentire i suoi effetti
sull’individuo e sui gruppi e riappare nelle nuove patologie psichiatriche e psicopatologiche, che in
sintesi possono essere definite come patologie di crisi di presenza e/o identità fluttuante – borderline,
disturbi di dipendenza, disturbi antidepressivi.
Questi aspetti individuali e sociali ci indicano come la tematica del luogo, nel dove sei ma anche
verso dove vai, è sempre più in evidenza e rappresenta l’aspetto centrale sia in dinamiche
psicopatologiche – per es. quale dialogo esiste tra i diversi campi interni del soggetto?, che in
dimensioni sociali allargate – per es. dove avviene l’incontro/scontro tra comunità/appartenenze
diverse?
Anche nella cosiddetta normalità si incontrano disturbi meno etichettati ma che rimandano ad un
senso di spaesamento – molto concreto quello del migrante – da un luogo preciso, amplificato dalla
mancanza di un dove interno ed esterno riconoscibile da sé stessi e riconosciuto dagli altri.
La proliferazione dei cosiddetti non-luoghi (5) e di luoghi indifferenziati, amplifica il sentimento
di perdita di senso dell’esperienza e amplifica anche l’effetto telecomando (6) dei diversi momenti
vissuti che sembrano non-dialogare tra loro, ma solo porsi uno accanto all’altro in un susseguirsi di
situazioni in cui si può entrare e poi uscirne senza una reale elaborazione.
D’altronde l’accecamento (7) mass-mediatico trasforma, a volte in modo irreversibile, la realtà
individuale e sociale: emerge sempre più il bisogno di ricollocarsi in luoghi psichici e fisici
condivisi e sentiti e non virtuali e attribuiti.
In termini più metodologici occorre definire le caratteristiche del dove all’interno della teoria dei
campi del sé.
Seguendo quanto già accennato sopra possiamo distinguere due aspetti:
1)un aspetto statico/strutturale che in sintesi risponde alla domanda: in quale campo, il soggetto, il
gruppo o l’organizzazione, possono essere incontrati nel qui ed ora: il dove sei.
L’aspetto statico/strutturale ci indica dove possiamo incontrare il soggetto (singolo o plurimo), in
quale ‘campo del sé’ si situa, quindi con una connotazione specifica sul qui ed ora del soggetto.
L’indagine accurata e approfondita dell’aspetto statico/strutturale ci da, inoltre, informazioni sulla
stratificazione dei significati personali di quello specifico campo che lo costituiscono e lo
determinano.
2)un aspetto dinamico/processuale che in sintesi risponde alla domanda verso quale direzione il
soggetto , il gruppo o l’organizzazione, si sta muovendo: il dove vai.
L’aspetto dinamico/processuale ci indica l’evoluzione del singolo campo del sé e più in generale la
dinamica di rapporto tra i vari campi.
Il modello struttural-dinamico proposto dai campi del sé e dalla dinamica dei diversi dove che
formano confini plurimi e mobili esce dalla bidimensionalità della relazione individuo/ambiente
proposto dall’approccio classico della Gestalt-therapy e introduce la possibilità di una nuova Gestalt
della relazione che, nella sua complessità può essere rappresentata da una figura tridimensionale in
movimento.
Partire dall’Altro
Pensare alla relazione come eco-sistema significa ripensare l’idea di ambiente, di sviluppo della
persona e del concetto di adattamento.
In questo senso si avverte la necessità di nuovi strumenti operativi che aiutino a leggere in modo
diverso questi elementi e a poterci lavorare nei diversi ambiti professionali quali: attività clinica, di
prevenzione, progettazione sociale e di servizi alla persona, formazione professionale, gestione di
organizzazioni.
I campi del sé, sono allora una proposta metodologica che può dare delle risposte in questa
direzione.
Ripensare l’ambiente vuol dire superare un’ottica in cui l’ambiente è generato dal singolo, o è
involucro del singolo, come dire un qualcosa che sta lì fuori, più o meno passivamente.
L’idea del campo, ci prospetta allora un’idea dove non c’è una definizione a priori di persona e di
ambiente, ma l’uno definisce l’altro nella relazione.
Relazione che non è sempre positiva e generativa, la storia ci ricorda interazioni che hanno creato
dei campi altamente distruttivi!
La Gestalt-ecology evidenzia questo assunto proprio attraverso la teoria dei campi del sé, all’interno
della quale è possibile cogliere la molteplicità di campi che persona e ambiente creano, e all’interno
dei quali persona e ambiente sono impegnati.
Il pensiero ecologico ci dice che la relazione dinamica ed interattiva tra le componenti di un
ecosistema o tra ecosistemi, consente di creare e generare nuovi equilibri, trasformare i diversi
campi del sé e le relazioni che intercorrono tra di essi: è una relazione fatta di
opposizione/distinzione; implicazione/integrazione; alterità/unità.
L’opposizione/distinzione ci serve a definire la nostra identità, a sviluppare una dimensione
affettiva, cognitiva, emotiva, relazionale sempre più articolata.
Ci permette inoltre di ‘creare attrito’, utile a promuovere un’attivazione dentro ai diversi campi del sé
e tra i campi stessi.
L’implicazione ci mette in contatto con l’ambiente e mette l’ambiente in contatto con noi.
L’implicazione che può anche diventare complicazione, coinvolgimento, corresponsabilità, ci aiuta
inoltre a cogliere che esiste un collegamento tra i diversi campi del sé, collegamento che di volta in
volta può assumere diverse configurazioni.
Ogni singolo campo del sé possiede infatti una matrice intesa come orientamento di base di quel
campo, ed una direzione di sviluppo, inteso come espressione, manifestazione delle caratteristiche
di ogni campo del sé, che lo collega agli altri campi.
L’integrazione ci permette di ampliare, riorganizzare, strutturare i campi del sé, attraverso
l’adattamento creativo.
Senza implicazione si sviluppa sia a livello personale che ambientale, modalità via via più
autoreferenziali, egocentriche e inefficaci, senza l’integrazione l’esperienza rimane attimo fuggevole
del presente, non può diventare patrimonio individuale e collettivo da cui attingere, patrimonio fatto
di apprendimenti, saperi, memoria e storia.
L’alterità, attraverso un processo di rispecchiamento e diversità, ci è indispensabile per sperimentare
i nostri confini personali attraverso i quali definire noi stessi e conoscere l’ambiente.
L’alterità come complessità, diversità, limite.
L’unità ci permette di sperimentare l’appartenenza, il legame, la sensazione di essere parte di.., di
essere con,…di nutrire l’individualità con la moltitudine.
Ripensare l’idea di adattamento vuol dire pensare all’adattamento in termini di capacità a creare
interazioni dentro ai diversi campi del sé e tra i campi stessi, significa innanzitutto valorizzare l’idea
di adattamento come processo creativo, idea già proposta da Goodman (8), e secondo una
prospettiva ecologica, la teoria dei campi del sé ci aiuta a cogliere che l’essenza dell’adattamento
creativo è proprio la capacità di creare connessione ed interazione tra le persone e gli ambienti di
vita quotidiana, tra le persone e il tempo sociale e storico in cui si vive, tra le persone e la propria
comunità.
Più si è capaci di creare relazione, più possiamo integrare le sollecitazioni che la vita ci pone ed
attivarci per trovare il nostro equilibrio, per fare le nostre scelte.
In sintesi, la teoria dei campi del sé, ci rimette in contatto con la molteplicità delle interazioni che
in modo più o meno consapevole vanno a definire la nostra esperienza e il nostro sviluppo umano.
Queste interazioni non coinvolgono solo la sfera delle relazioni interpersonali, ognuno di noi è
infatti corpo fisico, mondo interiore psichico, come pure membro di una comunità, attore e fruitore
di processi culturali, storici, sociali, ed infine portatore di quesiti che riguardano il senso più ampio
dell’esistenza.
…per poter leggere e reggere le sfide del XXI° sec. occorre partire dall’Altro.
Un nuovo scatto evolutivo diventa ormai imprescindibile se vogliamo dare risposte, sociali e
psicologiche, a ciò che l’oggi nella sua complessità fenomenologica ci presenta: dal razionalistico
ed individualistico penso dunque sono, occorre passare al paradossale ma umano “tu sei quindi io
sono!” (9).
NOTE
1) Gruppo di ricerca del “Centro Italiano di Formazione Psico-Eco-Relazionale” di Urbino;
2) “Un mesosistema comprende le interrelazioni tra due o più situazioni ambientali alle quali
l’individuo in sviluppo partecipi attivamente (per un bambino,ad esempio, le relazioni tra
casa, scuola e gruppo di coetaneiche abitano nelle vicinanze di casa sua; per un adulto,
quelle tra famiglia, lavoro e vita sociale” da U. Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo,
Bologna 2003, p. 60.
3) Genesi, 3,9.
4) Sofocle, Edipo re, Milano, 1977, pag. 65.Z. Bauman, Una nuova condizione umana, Milano
2003.
6) A. Canevaro, Le logiche del confine e del sentiero, Trento 2006.
7) P. Virilio, L’arte dell’accecamento, Milano 2007.
8) F.Perls, H. F. Hefferline, P. Goodman, Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, Roma
1971;
9) Dall’intervento di Ken Evans al “9th European Conference of Gestalt Therapy”, Atene, 9
settembre 2007.
BIBLIOGRAFIA
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Bramucci A., De Leonibus R., “I campi del sé: una mappa per costruire percorsi formativi”,
«Composizioni sociali» 2, 2007, pp. 81-91.
Bramucci A., De Leonibus R., Tamanti D., «Gestalt-ecology: la relazione come ambiente»
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Virilio P., L’arte dell’accecamento, Milano 2007.
Zinker J., Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, Milano 2002.
Commento [Roberto M1]:
anche qui bisogna citare i versi
precisi della tragedia.